Il punto del Presidente Nazionale Vittorio Bosio
Il punto 9 luglio 2020
Il punto
di Vittorio Bosio
Riforma dello sport: i conti non tornano. Conta la storia
Viviamo un tempo di scelte complicate e dobbiamo prenderne atto. In passato ci siamo
sempre basati sulle esperienze pregresse, sul nostro vissuto, quali basi di partenza; in
questo momento siamo invece chiamati, tutti, ad inventarci un nuovo modo di essere
Csi, rinnovandoci profondamente pur senza rinnegarci. Facendo i conti con la nostra
struttura, con i nostri associati, con le società sportive affiliate, con le risorse umane ed
economiche a disposizione. Abituati a progettare il futuro mettendo a frutto competenze,
disponibilità di persone e risorse economiche basandoci su ragionevoli certezze, oggi
purtroppo non è più così. Siamo perciò chiamati ad una compattezza associativa alla
quale non eravamo più abituati. Rileviamo oggi che le scelte governative in materia di
sport non sono quelle giuste. D’improvviso ci è chiesto di accettare – in un anno già
funestato dalla più grande crisi socio–economica mai avuta nella storia del Csi – tagli
consistenti ai finanziamenti che lo Stato destina allo sport di base, senza una logica
giustificazione. Responsabilmente, per il ruolo che ricopro, non posso dimenticare che il
Csi dà un lavoro dignitoso e stabile a centinaia di persone. Certo non siamo soli; in
questa situazione drammatica anche per quanto potrebbe accadere nei prossimi mesi
con il venir meno dei sostegni sociali allo sport di base, sappiamo di dovere rispetto alle
sofferenze di tutti. Ma va rilevato l’enorme fardello che il Governo carica sulle spalle di
Enti come il nostro, dove “lavorare” per lo sport vuol dire sobrietà, rigore ed equilibrio tra
lavoro e volontariato. Il rischio di non avere più le risorse per far ripartire le attività
giovanili e dilettantistiche è alto, e con esse tutti quei momenti di relazione
interpersonale e di formazione umana, proprio nel momento in cui ve n’è più bisogno.
Nel secondo dopoguerra, l’Italia ricostruì l’unità nazionale e la sua ripartenza anche
grazie alla nascita e allo sviluppo di organizzazioni associative – come gli Enti di
Promozione Sportiva – in grado di soddisfare senza grandi costi per lo Stato, il
crescente bisogno di socialità, di impegno culturale ed educativo. È una lezione presto
dimenticata. Il trionfo dell’individualismo, di una spersonalizzazione dell’aggregazione
sociale, di uno sport finalizzato solo all’alta “performance”, all’eccellenza e alla selezione
dei migliori (teorizzati però da una classe politica sempre più incapace di comprendere il
valore sociale, economico e culturale dell’associazionismo sportivo di base), toglie ora
risorse ad un ambizioso piano di investimenti, atti a sostenere la ripartenza dei comitati
territoriali e delle attività sportivedi base, lasciando negli Enti come il nostro, sconcerto e
forte preoccupazione per il destino dei nostri campionati giovanili e amatoriali. Credevo
fosse semplice capire che certe scelte irragionevoli avrebbero demolito l’attività sportiva
di base, cioè l’ossatura più consistente del sistema sportivo italiano. Mi chiedo, allora,
cosa potrebbe succedere tra poche settimane con il varo della riforma dello sport che, a
colpi di decreto, non godrà di importanti passaggi parlamentari. È francamente buffo
quanto inutile fare analisi, convegni, produrre documenti o “dirette social” per esaltare il
valore dello sport nei contesti sanitari, economici e culturali, per poi, al primo soffio di
vento, dimenticarsi tutto e compiere scelte che minano le vere fondamenta della
promozione sportiva. Il Csi non fa, e perciò non chiede assistenzialismo, ma solo il
giusto riconoscimento per il lavoro che sta svolgendo per i cittadini. Ci faccia capire il
Governo se nella sua visione del futuro del Paese c’è posto per lo sport di tutti o esiste
solo lo sport di pochi.